L’Italia digitale viaggia a due velocità. Da un lato, la Commissione europea certifica importanti progressi su connettività e servizi pubblici digitali nel suo report annuale sul Decennio Digitale 2030, il piano strategico dell’UE per guidare la trasformazione tecnologica del continente. Dall’altro, resta ancora un pesante divario su competenze digitali e, soprattutto, adozione dell’intelligenza artificiale nelle imprese. Ed è proprio qui che si gioca una partita decisiva per la produttività e la competitività del Paese.

Il governo, attraverso il Dipartimento per la Trasformazione digitale guidato dal sottosegretario Alessio Butti, ha accolto con favore i risultati raggiunti in aree strategiche come la copertura internet e la digitalizzazione della pubblica amministrazione. Risultati che, va detto, derivano direttamente dalle politiche messe in campo nell’ultimo biennio, anche con l’apporto del PNRR.

Ma al di là della superficie brillante, il quadro generale mostra ancora ombre pesanti, in particolare se si guarda al sistema produttivo privato.

Competenze e AI: i veri ritardi strutturali

Secondo il report, l’Italia resta in coda tra i Paesi Ue per diffusione di competenze digitali – sia di base che avanzate. Il dato è preoccupante, ma ancor più allarmante è quello sull’adozione dell’intelligenza artificiale: solo l’8,2% delle imprese italiane utilizzava tecnologie AI nel 2024. A fronte dell’obiettivo europeo del 60% entro il 2030, l’Italia è ferma all’11% del traguardo. Un gap enorme, soprattutto se si considera il ruolo centrale che le PMI hanno nel nostro tessuto economico.

I numeri dello studio I-Com & TeamSystem: il potenziale (non sfruttato) dell’AI

A offrire un quadro ancora più nitido è lo studio realizzato da I-Com e TeamSystem: se tutte le aziende italiane sopra i 10 dipendenti adottassero tecnologie AI, il loro fatturato complessivo crescerebbe di 1.300 miliardi di euro. Una cifra enorme, che rappresenterebbe il doppio dell’aumento registrato negli ultimi cinque anni.

Ma oggi questa crescita resta bloccata da barriere culturali e operative, prima ancora che tecnologiche.

PMI e intelligenza artificiale: il vero freno sono le competenze

La survey condotta su un campione rappresentativo di PMI italiane (in collaborazione con Piccola Industria Confindustria) fotografa un sistema frenato da carenze formative e resistenza al cambiamento.

  • Il 67,4% delle aziende che già usano l’AI indica le competenze come l’ostacolo principale.
  • Solo il 36,3% ritiene adeguato il proprio livello interno di competenza.
  • Appena il 12,4% delle imprese ha attivato percorsi formativi strutturati sull’AI.

Un dato sconcertante, se confrontato con l’attenzione che il tema riceve nel dibattito pubblico e con le potenzialità di crescita a portata di mano.

La richiesta delle imprese: meno burocrazia, più incentivi e formazione

Le aziende, però, hanno le idee chiare su cosa serva per sbloccare la situazione:

  • 69,3% chiede incentivi fiscali per l’adozione dell’AI
  • 67,9% invoca programmi pubblici di formazione professionale finanziata

Non si tratta solo di aiutare le imprese ad aggiornarsi, ma di creare le condizioni sistemiche per un vero shock digitale che permetta all’Italia non solo di rispettare gli obiettivi Ue, ma di recuperare terreno competitivo rispetto a Francia, Germania e Spagna.

Un’occasione che vale più di una celebrazione

È giusto che i progressi sulla digitalizzazione della PA vengano celebrati. Ma è altrettanto necessario non ignorare le crepe nel percorso italiano verso il 2030. La rivoluzione dell’AI non è una moda, ma una leva strutturale per la crescita, soprattutto per un Paese fatto di micro e piccole imprese.

Servono interventi urgenti, mirati, continuativi: incentivi, formazione, cultura dell’innovazione. Solo così l’Italia potrà chiudere il divario e diventare non solo un buon esempio di digitalizzazione pubblica, ma anche un hub europeo di innovazione privata e industriale.

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