Sono 120.876 le imprese italiane che oggi esportano, ma potrebbero diventare molte di più. Secondo uno studio del Centro Studi Tagliacarne per Unioncamere, altre 17.028 imprese sarebbero già oggi pronte per entrare nei mercati internazionali, con un incremento potenziale del valore complessivo dell’export compreso tra il +2,6% e il +3%.

Lo studio ha analizzato 743.533 imprese italiane attive tra il 2015 e il 2021, con l’obiettivo di individuare – attraverso modelli predittivi avanzati – non solo chi già esporta, ma anche chi ha le caratteristiche per farlo. Di queste, 216.401 hanno esportato almeno una volta, mentre solo il 7,7% ha mantenuto una continuità negli scambi internazionali durante l’intero periodo.

Chi sono le potenziali nuove esportatrici?

Il bacino potenziale individuato si divide in:

  • 5.601 “aspiranti esportatrici”, ovvero aziende che attualmente non esportano, ma mostrano caratteristiche simili a quelle già internazionalizzate;
  • 11.427 “esportatrici emergenti”, che hanno esportato in modo intermittente ma con un’alta probabilità di diventare regolari.

Queste imprese sono distribuite prevalentemente nel Nord Italia (oltre il 55%), con la Lombardia al primo posto (20%), seguita da Veneto (11,4%), Emilia-Romagna, Piemonte e Toscana. Si tratta in prevalenza di microimprese (97,5%) nei settori del commercio all’ingrosso, autoveicoli, lavorazione dei metalli e industria alimentare, con un fatturato compreso per l’86,4% tra 200 e 499 mila euro.

Le esportatrici emergenti, invece, mostrano una maggiore incidenza di aziende piccole e medie (fino al 27,4%), con fatturati più alti: il 46,2% tra i 200mila e i 2 milioni di euro, ma anche una parte significativa che supera i 50 milioni. In questo gruppo, i rapporti commerciali con gli Stati Uniti sono già presenti per oltre 1.600 imprese, con un valore export verso gli USA di 87,4 milioni di euro.

Il ruolo chiave degli intermediari dell’internazionalizzazione

Tuttavia, per trasformare il potenziale in realtà, serve un sistema di supporto solido e moderno. Le aziende che offrono servizi di accompagnamento all’export – in particolare quelle con modelli innovativi e soluzioni digitali – sono oggi uno snodo strategico per l’internazionalizzazione delle PMI italiane.

Sempre più numerose sono infatti le realtà che, grazie all’utilizzo di piattaforme basate su intelligenza artificiale, sono in grado di:

  • identificare i mercati esteri più promettenti per ogni singola azienda;
  • generare analisi predittive sulla domanda internazionale;
  • adattare prodotti e comunicazione ai mercati di destinazione (es. localizzazione automatica dei contenuti, ottimizzazione SEO per marketplace internazionali);
  • automatizzare la gestione documentale e doganale;
  • e persino individuare partner, buyer e distributori tramite sistemi di matching intelligente.

Queste soluzioni permettono anche alle micro e piccole imprese – spesso sprovviste di competenze interne e risorse per presidiare mercati complessi – di accedere al commercio estero in modo rapido, mirato e sostenibile.

Quanto può crescere l’export grazie all’innovazione?

Secondo una stima basata sui dati Tagliacarne e sull’impatto osservato nei progetti pilota delle piattaforme di export digitale, le aziende italiane che si avvalgono del supporto di società specializzate con soluzioni AI possono aumentare:

  • la probabilità di successo nei mercati esteri del +40% nei primi due anni;
  • il valore medio dell’export annuo fino al +25% rispetto alle aziende che affrontano il processo autonomamente.

Tradotto in numeri, l’integrazione di servizi innovativi nell’internazionalizzazione potrebbe portare a un aumento complessivo delle esportazioni italiane tra il +3,5% e il +5%, con un impatto diretto su crescita, occupazione e posizionamento del Made in Italy nei mercati globali.

Export italiano: oltre 17mila imprese pronte a esportare. Con il supporto giusto, le vendite potrebbero crescere fino al +5%

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